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mercoledì 13 luglio 2011

Non c’è nulla di immutabile, tranne l’esigenza di cambiare (Eraclito)

Eccomi ancora, di nuovo, come sempre.
Eccomi perso nella rete a cercare un motivo per spingere un po in avanti la mia curiosità sul mondo e la mia conoscenza di me stesso.
Ancora vivo, insomma.
Oggi vi racconterò la storia di un tacchino induttivista. Ma non è la famosa storia che potete trovare su internet, è più articolata, personale e magari più noiosa.
Quindi vi avverto subito: se non vi interessa smettete di leggere ora.



Siete ancora qui?
Ok, facciamo così: se siete ancora qui, vi dico subito che questa storia finisce esattamente come quella più famosa: il tacchino alla fine muore.
Ok ora potete andarvene.
Ancora resistete?
Bene, ma non lamentatevi con me per la noia alla fine. Vi ho avvertito ben due volte.

Dunque, la storia inizia più o meno come l'aveva concepita Russell e ripresa Popper: il tacchino in questione (per amore della precisione) si chiama Frances e nasce in un piccolo allevamento senza pretese nel grande continente americano.
Appena nato Frances scopre le tre regole che lo accompagneranno lungo il suo breve percorso:

1) Si può tranquillamente espellere i propri bisogni in terra, senza riguardo

2) Ci sono dei confini recintati che non si deve e non si può svalicare

3) Alle 9 di mattina servono il pastone, che ti deve bastare per tutta la giornata.

All'inizio ci fu un breve periodo di assestamento, in cui nessuno degli altri tacchini gli aveva ben spiegato cosa ci facesse lì, chi fossero i suoi genitori e perché non si può andare oltre le recinzioni, ma questo perché ancora era nuovo e doveva conoscere la gente giusta, farsi un nome.
In questo periodo iniziale veniva escluso dalla mangiatoia due volte su tre perché non riusciva a regolarsi sulle 9 di mattina (i tacchini non sanno leggere gli orologi, e comunque anche se lo avesse saputo fare Frances non ne aveva uno) e in molti dei tacchini più grossi o anziani lo prendevano in giro per via del suo bargiglio minuscolo.

Poi col passare del tempo le cose cambiarono.
Ci vollero mesi ma fece un paio di buone soffiate a George, il tacchino che portava dentro le tacchinelle sulle visite del contadino e gli passò una manciata di granelli di segale cornuta infestata dai funghi ergot, e questo lo introdusse nel giro giusto in men che non si dica.
Conobbe presto John, un tacchino anziano che aveva agganci con la moglie del contadino e Peter che poteva procurargli notizie dall'aia in modo da poter gestire i traffici di segale e tacchinelle.
Il tutto rigorosamente incasellato nelle tre regole ferree dell'allevamento.
Alla fine Frances era diventato il tacchino più grosso e bello dell'allevamento, poteva avere tutto e sapeva esattamente come muoversi.
Ma una cosa ancora non aveva osato provare: contravvenire alle regole dell'allevamento.

La sua vita era del tutto scialba e la riverenza e l'opportunismo di alcuni dei suoi compagni tacchini lo disgustavano. Il loro immobilismo, l'attaccamento che avevano alla rutine, la loro mancanza di intraprendenza invece lo rendevano insofferente. Non sopportava l'idea di passare tutta la sua vita tra 4 recinti di filo spinato con altri 49 tacchini, non poteva più aspettare.
Una notte si fece aprire un buco nella recinzione e scappò, verso la libertà.
Tornò tre giorni dopo denutrito, ferito, quasi morto.
Grazie al suo nome e alle sue conoscenze si fece aiutare, approfittò della gente che aveva segretamente disprezzato, si riprese in fretta la rutine che aveva abbandonato con arroganza.
Quando fu di nuovo in forze, si fece profondamente schifo.
La vita dell'allevamento lo deprimeva più di prima, ma era troppo orribilmente attaccato alla brutta vita per rinunciarvi spontaneamente.
Era disperato pensando che sarebbe certamente impazzito lì, e che i suoi giorni sarebbero finiti con un chicco di traverso dalla mangiatoia.
Smise di muoversi, divenne grasso e apatico.
Voleva morire, ma non poteva farcela.
L'unico ad aiutarlo fu John, e i suoi agganci con la moglie del contadino.
La sera prima di natale, John andò a trovare Frances e gli disse che doveva tirarsi su, che la vita non era tutta uguale, che le cose cambiano e che non sarebbe rimasto in quell'allevamento per molto.
Frances accennò un timido sorriso pensando che fosse la solita menzogna che gli amici usano per risollevare il morale.
Ma quando il giorno dopo vide la contadina attraversare la neve con una mannaia e si sentì prendere per il collo, rivolse lo sguardo a John e gli sorrise incredulo. Non avrebbe mai pensato che le cose per lui sarebbero cambiate finalmente.
John fece in tempo a vedere quel sorriso, e lo salutò poco prima di vedere la contadina che gli spezzava il collo e lo decapitava crudelmente.

2 commenti:

  1. Ottima storia.
    Quindi, tirando un pò le somme diresti che l'esigenza di mutare è da considerarsi essa stessa immutabile, a differenza di altri fattori che regolano vita?
    Penseresti dunque che sia possibile ottenere un cambiamento semplicemente accettando e abbandonandosi a regole o comportamenti sociali precostituiti?

    In tal caso non varrebbe più la pena lottare per ciò che si ama,
    o si pensa,
    o si desidera
    se alla fine l'unica consolazione che ci aspetta è quella di un finale dolceamaro.

    E' forte la tentazione di chiedersi - a questo punto- se non sia meglio vivere SENZA la consapevolezza del fatto che se lo vogliamo, possiamo cambiare ciò cha abbiamo.

    A patto però di non voltarsi mai indietro durante il cammino...

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  2. Caro Anonimo/a,
    ti rispondo con ordine:
    - “L’esigenza di mutare è da considerarsi essa stessa immutabile, a differenza di altri fattori che regolano vita?”

    Si, l’esigenza di cambiare è secondo me un denominatore comune di tutti noi.
    Ho recentemente riflettuto sull’idea e ho valutato possibile che quello che io chiamo ”immobilismo” riferendomi a persone fortemente abitudinarie non sia altro che un circolo di pochi cambiamenti chiuso in se stesso. Ma anche quelli sono pur sempre cambiamenti.

    - “Penseresti dunque che sia possibile ottenere un cambiamento semplicemente accettando e abbandonandosi a regole o comportamenti sociali precostituiti?[ecc ecc…finale dolceamaro.]”

    Questo non l’ho mai ne inteso ne sottinteso. Dove l’hai letto? Qui hai proprio capito male.
    La storia che mi sono inventato -spiegata in soldoni- parla di una persona che cerca sempre il cambiamento: arrivato in cima cerca di andare ‘oltre’ ma non ci riesce, non sopravvive fuori.
    E’ totalmente sconfitto si deprime non accettando il fatto di essere riuscito a cambiare tutto della sua vita all’interno di un recinto,per poi alla fine tornare strisciando alla sua brutta vita piuttosto che continuare a lottare per la libertà. E impazzisce all’idea di non poter avere nessun altra possibilità di cambiare (uscire lo aveva quasi ucciso –rimanere dentro lo avrebbe logorato fino alla morte).
    Il problema è ancora una volta CAMBIARE e nello specifico avere il CORAGGIO di cambiare, tenersi coerenti e affrontare le conseguenze del cambiamento che scegli. Questo intendevo.
    Non intendevo inoltre scoraggiare il cambiamento col finale dolceamaro, anzi!
    Il senso che volevo dargli, e magari non ci sono riuscito è: Frances era abbandonato a se stesso, sapeva che oltre un certo punto non aveva avuto il coraggio di andare e sarebbe rimasto a logorarsi per il resto della vita. Frances era già morto.
    Il sorriso finale è dovuto al fatto che in qualche modo sarebbe uscito dall’allevamento, finalmente. E John aveva capito che il solo modo per aiutarlo era quello: fargli capire che se il sole è sorto e tramontato oggi non significa che lo farà domani.

    - E' forte la tentazione di chiedersi - a questo punto- se non sia meglio vivere SENZA la consapevolezza del fatto che se lo vogliamo, possiamo cambiare ciò cha abbiamo.

    Direi che per me è l’esatto opposto. Infatti come ho scritto prima, la consapevolezza di non poter cambiare una situazione che non ci piace ci logora.

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